Il diritto all’oblio, introdotto nel nostro ordinamento dall’art. 17 del Regolamento (UE) nr. 679/2016 sulla protezione dei dati personali, anche conosciuto come GDPR, è confacente a quel diritto di essere dimenticati. La norma di cui sopra determina una serie di cause alla presenza delle quali il soggetto interessato ha il diritto di ottenere dal Titolare del Trattamento l’eliminazione delle notizie pregiudizievoli allo stesso relative senza margini di ritardo. Per fare un esempio, un soggetto può richiedere la cancellazione del proprio nome da Google ovvero la rimozione dalle notizie dalle ricerche Google, nel caso in cui i propri dati personali non siano più indispensabili rispetto alle finalità per i quali venivano conseguiti o trattati o quando si sia revocato il consenso al trattamento o quando ancora i dati siano stati raccolti in maniera illecita. Ad oggi, il diritto all’oblio è stato anche oggetto di riforma Cartabia sul processo penale, la quale determina l’ottenimento automatico della cancellazione dal web delle notizie de qua laddove sia incorso un provvedimento dell’autorità giudiziaria di assoluzione piena.
La recente sentenza della Corte UE sul diritto all’oblio
La Corte di giustizia dell’unione europea attraverso l’emissione della pronuncia nr. C-460/20/Google, torna ad occuparsi nuovamente del già citato diritto all’oblio, quale diritto alla cancellazione dei propri dati personali dal web. La funzione della sentenza qui menzionata è quella di ridimensionare il forte potere che hanno i motori di ricerca sulle notizie che vengono diffuse attraverso il motore di ricerca online, tale per cui non vi è la possibilità, oppure c’è ma è minima di eliminare le notizie che creano pregiudizio al singolo cittadino ovvero consociato, che fruisce del web. Ebbene, la pronuncia in questione tenta di ribilanciare il diritto d’informazione rispetto a quello della reputazione e dell’immagine personali del singolo. In questo caso, la sentenza origina da un caso proveniente dalla Germania, per cui nel 2015 due soggetti aventi una società di investimento si erano visti criticare il modello di business che facevano da un sito americano, attraverso articoli e con immagini che seguivano e rendevano allusioni sullo stile di vita dei coniugi, facendoli apparire come dissoluti.
Come fare per cancellare contenuti pregiudizievoli dal web
I contenuti che possono essere cancellati a mezzo di una richiesta al Garante con un apposito reclamo o anche direttamente dal fornitore del motore di ricerca, come Google, attraverso sempre la compilazione online di un modulo possono essere molteplici.
La deindicizzazione dal web
Per deindicizzazione si intende quel procedimento opposto alla indicizzazione, che rende non direttamente accessibile un determinato contenuto attraverso i motori di ricerca esterni all’archivio in cui quel contenuto si trova. Quest’ultimo è cosa ben diversa dalla rimozione delle informazioni, le quali vengono eliminate del tutto dalla rete. Il GDPR ha previsto in ogni caso che il diritto alla deindicizzazione delle informazioni obsolete o pregiudizievoli alla sola presenza di alcuni determinati presupposti, sempre che gli stessi questi rispettino i diritti fondamentali. In questo senso, come si collima condivisibile giurisprudenza, il diritto all’oblio del singolo interessato, che accetta carattere di diritto fondamentale costituzionalmente garantito; in altro luogo tale diritto del singolo deve essere controbilanciato in via di assoluta necessità con l’interesse collettivo ad essere informati sulle vicende di cronaca, che si traduce in un più generale interesse storiografico della notizia presentata e diffusa in rete.